È di questi giorni la notizia che dà come certo un doppio parere negativo da parte dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) nell’ambito di due diversi iter autorizzativi regionali e che rappresenterebbe la pietra tombale definitiva per le rispettive, ennesime, attività di smaltimento rifiuti proposte in due ambiti della Provincia di Brescia.
A prescindere dalle esatte coordinate dei siti, dei proponenti, dei funzionari, dei cittadini e portatori di interessi, peraltro non difficilmente individuabili dagli addetti ai lavori che conoscono le dinamiche del settore, in questo caso – come in altri – la conclusione favorevole o contraria della procedura, stando alla notizia, sembra possa dipendere anche solo dall’espressione di un singolo ente. Certo, in tema di gestione di rifiuti, il parere sanitario è giustamente prioritario (pur se formalmente non sempre riconosciuto tale) rispetto a quello di altri enti coinvolti e rispetto alle osservazioni dei cittadini, e ciò al decisore è ben noto. Ma a stridere è che la necessità di impianti di così straordinaria portata, e quindi la loro localizzazione sul territorio, non venga affrontata a scala più vasta, a livello di pianificazione provinciale/regionale prima che in sede di autorizzazione progettuale sito-specifica: in termini ambientali, a livello di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) prima che di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Con un ragionamento più esteso che vada ben oltre ai confini del sito individuato dal proponente per la realizzazione dell’opera, con un quadro programmatico capace di valutare le effettive necessità di impianti rispetto ai bacini di produzione dei rifiuti (federalismo dello smaltimento) auspicabilmente abbinato ad un quadro ambientale teso all’individuazione e analisi dei pro e contro di reali alternative localizzative che il territorio può (o talvolta non è in grado di) offrire: i siti più vocati a ospitare questi impianti potrebbero, forse, essere individuati con meno difficoltà e aderendo maggiormente al concetto di “bacinizzazione della provenienza”. Non dobbiamo infatti dimenticare che ciascuno di noi contribuisce direttamente o indirettamente alla produzione di rifiuti che una volta generati, se non al 100% biodegradabili, devono necessariamente essere smaltiti/recuperati.
Un spunto potrebbe essere la dinamica già seguita per i piani cave provinciali, pur se necessariamente perfezionata nel merito e sostenuta da reali e provate esigenze “federali” di smaltimento. A quel punto, se la pianificazione di settore – con l’aiuto di VAS fondate e compartecipate – riuscisse in ciò che le compete, anche la successiva fase autorizzativa di progetto – soggetta a VIA – potrebbe davvero concentrarsi sugli aspetti mitigativi/migliorativi dell’opera, esigendo dal proponente l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili (BAT) e tutte le compensazioni del caso in risposta anche agli impatti residuali. Tutti i funzionari degli Enti sarebbero così messi nelle condizioni di dare il proprio contributo al procedimento, senza il carico di dover/poter avallare o affossare un intervento – o, per contrapposto, di limitare il più possibile l’esposizione mediatica dell’ente che rappresentano – contribuendo a ridimensionare gli iter istruttori oggi spesso annosi e incerti (per gli Enti, per i proponenti e per tutti i portatori di interesse).